Il tema dell’applicabilità o meno dell’istituto della messa alla prova alle persone giuridiche, ai sensi del D.Lgs. 231/2001, sembrava chiuso dopo l’intervento della Cassazione a Sezioni Unite n. 14840 del 2023.
Invece, una recentissima ordinanza del Tribunale di Perugia, parrebbe rimettere in discussione quanto già si dava per assodato.
La pronuncia delle Sezioni Unite
La Corte Suprema, nella sentenza summenzionata, aveva, preliminarmente, ricordato come la responsabilità scaturente dal D.Lgs. 231/2001 costituisca, rispetto a quella penale e amministrativa, un tertium genus (così come stabilito sin dal 2014 dalla nota sentenza a Sezioni Unite relativa al caso ThyssenKrupp).
Premesso ciò, gli Ermellini, stante la natura della responsabilità ex D.Lgs. 231/2001, l’avevano considerata incompatibile con la messa alla prova disciplinata dall’art. 168bis c.p.: quest’ultima – si asseriva – va inquadrata nell’ambito di un trattamento sanzionatorio penale e, dunque, come tale non applicabile agli enti, in virtù, anche, del principio di riserva di legge previsto dall’art. 25 co.2 della Costituzione.
A sostegno di siffatta interpretazione, le Sezioni Unite avevano ricordato come le caratteristiche proprie della messa alla prova – modulata specificatamente sull’imputato persona fisica – la rendano, di fatto, insuscettibile di estensione all’ente.
D’altronde, molteplici sono gli indici rivelatori, secondo la Cassazione, del fatto che la messa alla prova si traduca in un trattamento sanzionatorio: per esempio, “l’obbligo a carico del soggetto sottoposto alla messa alla prova di prestare lavoro di pubblica utilità, la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato e il risarcimento del danno, gli obblighi e le prescrizioni derivanti dal programma trattamentale che incidono sulla libertà personale, il rapporto di proporzionalità tra la gravità del reato e la durata della messa alla prova […] nonché la previsione dell’art. 657Bis c.p.p. a norma del quale, in caso di fallimento della messa alla prova, va scomputato dalla pena ancora da scontare il periodo nel quale il soggetto ha adempiuto alle prescrizioni impostegli”.
Si dice in sentenza che non è possibile, nemmeno, invocare l’applicazione analogica in bonam partem considerato che il Giudice non può applicare, oltre i casi specificatamente previsti dalla legge, ulteriori fattispecie e sanzioni.
Da ultimo, le Sezioni Uniti evidenziavano, come ulteriore elemento a favore della loro tesi circa l’inapplicabilità della messa alla prova alle persone giuridiche, il disposto dell’art. 67 del D.Lgs.231/2001, il quale non prevede l’esito positivo della messa alla prova tra i casi in cui il Giudice deve pronunciare sentenza di non doversi procedere: di conseguenza, non essendo espressamente prevista tra le cause di estinzione dell’illecito la predetta ipotesi, si finirebbe per crearne una nuova che esula dal dettato normativo del Decreto Legislativo n. 231/2001.
Per le ragioni sinora esposte, la Suprema Corte a Sezioni Riunite, aveva ritenuto inapplicabile agli enti l’istituto della messa alla prova.
Il Tribunale di Perugia mette in discussione le Sezioni Unite
Una recentissima e articolata ordinanza del Tribunale di Perugia, ripercorrendo le argomentazioni espresse dalla sentenza di Cassazione di cui sopra, è giunta, invece, a conclusioni diametralmente opposte.
Il Tribunale chiarisce, innanzitutto, il motivo per il quale intende discostarsi dalla Suprema Corte: a suo avviso, l’istituto della messa alla prova, non può essere equiparato sic et simpliciter ad un trattamento sanzionatorio poiché, a differenza di quest’ultimo, richiede tassativamente la volontà dell’imputato.
Inoltre, senza allargare la tipologia di sanzioni, l’esito positivo della messa alla prova, costituendo una causa estintiva di reato, amplierebbe le possibili scelte difensive delle persone giuridiche.
Infatti, stante l’assenza di effetti sfavorevoli per l’ente, il quale sarebbe chiamato a svolgere lavori di pubblica utilità solo dopo aver espresso il proprio consenso, l’applicazione della messa alla prova risulterebbe compatibile con i dettami del D.Lgs. 231/2001, “dovendo escludersi la violazione dei principi di tassatività e riserva di legge, tenuto conto che il divieto di analogia opera soltanto quando genera effetti sfavorevoli per l’imputato”.
Come già riportato in precedenza, le Sezioni Unite individuavano un grosso limite nel fatto che la disciplina dell’istituto in questione fosse stata disegnata e modulata specificamente sull’imputato persona fisica, come emergerebbe dalla lettura dell’art. 168Bis del Codice Penale.
Il Giudice umbro, al contrario, considera elementi centrali della messa alla prova il risarcimento del danno e l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose.
Nel caso affidato al Tribunale perugino, il programma di trattamento elaborato dall’UEPE, ai sensi dell’art. 464Bis c.p.p., consiste in prescrizioni e attività che prevedono un coinvolgimento diretto della società, quali, ad esempio, il finanziamento di un corso di formazione in materia di primo soccorso e sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, nonché una donazione in denaro a favore di Croce Rossa e di un’auto medica.
Con ciò, il Tribunale ritiene di aver dimostrato come possano essere superate le perplessità sollevate dalla Cassazione, in quanto, come si è visto, il programma predisposto dall’UEPE risulta calibrato sulla società.
Infine, non viene ritenuto dirimente nemmeno l’art. 67 del D.Lgs. 231/2001 – assai valorizzato, invece, dalle Sezioni Unite – il quale, nel prevedere le ipotesi in cui il Giudice deve emettere sentenza di non doversi procedere, non cita l’esito positivo della messa alla prova: ciò, infatti, non implica alcuna creazione normativa stante il richiamo operato dagli artt. 34 e 35 del D.Lgs. 231/2001 alle norme del codice di procedura penale.
A fronte di tale coraggiosa ordinanza umbra, che si è discostata dal principio espresso dalle Sezioni Unite di Cassazione, non resta che attendere e vedere se avrà dei proseliti nel panorama giuridico o rimarrà una pronuncia isolata.