Delitti a contrasto della circolazione illecita dei beni

30 Ottobre 2024

Art. 648. Ricettazione.

Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329. La pena è aumentata quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da delitti di rapina aggravata ai sensi dell’articolo 628, terzo comma, di estorsione aggravata ai sensi dell’articolo 629, secondo comma, ovvero di furto aggravato ai sensi dell’articolo 625, primo

comma, n. 7-bis).

La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 516 se il fatto è di particolare tenuità.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto.

Il fine dell’incriminare la ricettazione consiste nel bloccare “a valle” la circolazione di beni che siano provento di reato. Il legislatore tenta di “sterilizzare” anche il reato presupposto, scoraggiando l’agente che intenda commetterlo perché costui è consapevole che non è facile commercializzare quel bene e godere del profitto del suo reato [Cass. pen., sez. II, 14/04/2016, n. 15680]. La fattispecie vuole anche evitare che la persona offesa si veda privata del denaro o di altre cose che, attraverso la loro circolazione, si “allontanano dal legittimo titolare” [Cass. pen., sez. II, 25/02/2016, n. 7683] incrementando il patrimonio di soggetti diversi dall’autore del delitto presupposto. Nonostante sia prioritariamente posta a tutela di un interesse patrimoniale [Cass. pen., SS.UU., 29/11/2005, n. 3087], la collocazione tra i delitti contro il patrimonio mediante frode «non comporta affatto l’esigenza che anche il delitto presupposto debba essere un reato contro il patrimonio», ragione per cui l’oggetto della tutela è stato individuato anche nell’interesse «in via immediata, ad evitare che una qualsiasi attività delittuosa diventi fonte di successivi profitti, e, in via mediata, a limitare all’origine la spinta alle attività delittuose» [Cass. pen., sez. II, 14/03/2008, n. 11727].

Soggetto attivo

Il soggetto attivo della ricettazione può essere chiunque acquisti, riceva od occulti denaro o cose provenienti da delitto o si intrometta affinché le cose di provenienza illecita siano acquistate, ricevute od occultate. Se la fattispecie è un reato comune, l’iniziale clausola di sussidiarietà “fuori dai casi di concorso nel reato” esclude che possa rispondere di ricettazione chi ha fornito un contributo (materiale o morale) alla realizzazione del delitto presupposto rilevante ai sensi dell’art. 110: in questo caso, infatti, le attività successive integrano un post factum non punibile per l’art.648. Tale impunità, comune alle successive fattispecie di riciclaggio e reimpiego, costituisce una «deroga alla disciplina del concorso di reati che trova la sua ragione di essere nella valutazione, tipizzata dal legislatore, di ritenere l’intero disvalore dei fatti ricompreso nella punibilità del solo delitto presupposto» [Cass. pen., sez. II, 04/03/2015, n. 9392]. Ai fini della configurabilità della ricettazione non occorre la prova positiva che il soggetto attivo non sia stato concorrente nel delitto presupposto, essendo sufficiente che non emerga la prova del contrario [Cass. pen., sez. II, 20/02/2014, n. 10850].

Le condotte incriminate

L’art. 648 è un reato a fattispecie plurima, il che esclude un concorso tra le varie ipotesi, integrato alternativamente dall’acquisto, dalla ricezione o dall’occultamento di denaro o cose provenienti da delitto nonché dall’intromettersi nel farli acquistare, ricevere od occultare. La disposizione consente di individuare due tipologie di ricettazione: nella prima (intesa in senso stretto) l’agente opera per contro proprio; nella seconda (definita intermediazione nella ricettazione) il soggetto attivo svolge il ruolo di mediatore. Quanto alle singole condotte incriminate, quelle di acquisto e ricezione sono correlate e quest’ultima è norma di chiusura applicabile in via residuale.

Nella prima forma di ricettazione in senso stretto, la nozione penalmente rilevante di acquisto è più ampia di quella civilistica ed accoglie il conseguimento di un qualsiasi diritto sulla cosa in forza di un titolo idoneo (compravendita, ma anche permuta, donazione, etc.) da parte dell’agente [Cass. pen., sez. I, 15/09/1983, n. 7490]. Il reato è istantaneo, si consuma raggiunto l’accordo fra cedente ed acquirente e nella successiva consegna del bene «non può ravvisarsi null’altro che un momento che pertiene all’adempimento del contratto, già perfezionato ed efficace [Cass. pen., sez. II, 27/04/2009, n. 17821; conforme 14/11/2016, n. 48017]. «A chiusura del sistema, la ricezione copre ogni ulteriore conseguimento della disponibilità materiale della cosa, anche soltanto temporanea, ivi compreso l’impossessamento da parte di un terzo di una cosa di origine furtiva, abbandonata dal ladro» [Cass. pen., sez. II, 15/04/2010, n. 18035]. L’occultamento descrive il nascondimento del bene proveniente da delitto: nel presupporre una precedente ricezione del bene da occultare, già autonomamente rilevante per il reato di ricettazione, la previsione appare pleonastica.

La seconda forma di ricettazione per intromissione è condotta a forma libera a ragione dell’impiego dell’avverbio comunque. Il reato si perfeziona per il solo fatto che l’agente si intrometta nel far acquistare, ricevere od occultare un bene di provenienza delittuosa senza che sia necessario che tale mediazione raggiunga il fine ulteriore che il soggetto si è proposto perché «è sufficiente che il mediatore si adoperi in modo univoco per far acquistare la merce e non è dunque neppure necessario né che metta in rapporto diretto le due parti, né che la refurtiva venga effettivamente acquistata o ricevuta» [Cass. pen., sez. II, 25/02/2016, n. 7683].

La condotta tipica è esclusivamente attiva ed il delitto potrà essere punito anche nella forma tentata ad eccezione che per la ricettazione per intromissione che non tollera il tentativo [Cass. pen., sez. II, 25/02/2016, n. 7683].

L’oggetto materiale e la provenienza da delitto

L’oggetto materiale della condotta è costituito da denaro o da cose. La nozione di cosa comprende i beni mobili ed immobili dovendosi tuttavia distinguere in relazione alle condotte incriminate: a fronte delle ipotesi dell’acquisto, ricezione ed occultamento di cose provenienti da qualsiasi delitto, la ricettazione di beni immobili può essere integrata soltanto attraverso la condotta di acquisto [Cass. pen., sez. II, 21/02/1992, 1985]. Nonostante la nozione di utilità sia espressamente menzionata agli artt. 644 e 648-bis e manchi invece nella ricettazione, per la giurisprudenza il concetto di cosa rilevante per l’art. 648 comprende anche le utilità [Cass. pen., sez. II, 12/11/2010, n. 43730], ad esempio le prestazioni di servizi e professionali.

La formula provenienza da delitto ha contenuto ampio ed è integrata allorquando la cosa costituisce il frutto o il prodotto o il profitto del precedente reato [Cass. pen., sez. I, 07/11/1995, n. 11980]. Nel medesimo concetto rientra anche l’ipotesi della “ricettazione da ricettazione” ossia l’acquisto di una cosa proveniente in via mediata da delitto, in virtù cioè di negozi giuridici che ne hanno determinato la trasformazione economica. Se la non consapevolezza della provenienza illecita interrompe questo nesso di derivazione [Cass. pen., sez. II, 16/07/1992, n. 8013], la mancata giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto prova la conoscenza della illecita provenienza [Cass. pen., sez. I, 13/03/2012, n. 13599].

Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 648, il reato si perfeziona “anche quando l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto”. Se la ricettazione non è integrata in presenza di cause oggettive (scriminanti) o soggettive (errore sul fatto) che escludono il delitto presupposto, la non imputabilità (art. 85 ss.) e la non punibilità per fatti commessi a danno di congiunti (art. 649), riferibili all’autore del delitto presupposto, non ostano alla consumazione del reato, così come la mancata presentazione della querela osta alla procedibilità [Cass. pen., sez. II, 28/05/2010, n. 33478]. Non escludono inoltre la punibilità per l’art. 648 l’avvenuta estinzione del delitto presupposto – che “non si estende ad altro reato” ai sensi dell’art 170, comma 1, – né la sua eventuale abrogazione, le successive modifiche o la sopravvenuta incompatibilità: poiché la provenienza da delitto è ricavabile da una norma incriminatrice esterna, le vicende successive non assumono rilievo ai sensi dell’art. 2 c.p. dovendo la rilevanza penale del fatto essere valutata con esclusivo riferimento al momento in cui ha avuto luogo la condotta tipica di ricezione [Cass. pen., sez. VII, 16/02/2016, n. 20644; conforme sez. II, 19/05/2016, n. 20772].

Non è necessario l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, né dei suoi autori, né dell’esatta tipologia del reato potendo «il giudice affermarne l’esistenza anche attraverso il ricorso a prove logiche in quanto la provenienza da delitto della res, al pari di qualsiasi elemento strutturale della fattispecie forma oggetto di prova secondo gli ordinari criteri di accertamento, che ben può fondarsi anche su indizi» [Cass. pen., sez. II, 25/07/2011, n. 29685; conforme 04/02/2015, n. 20188].

L’elemento soggettivo è costituito dalla volontà di acquistare, ricevere, occultare ovvero di intromettersi nel fare acquistare, ricevere od occultare il denaro o la cosa, con la consapevolezza che il denaro o la cosa provengono da un delitto, indifferentemente doloso o colposo. A questo dolo generico si aggiunge quello specifico del “fine di procurare a sé o ad altri un profitto” che comprende il lucro e qualsiasi utilità che l’agente si propone di conseguire ivi compresa anche quella esclusivamente morale [Cass. pen., sez. II, 01/07/2013, n. 28410], senza che sia necessario l’effettivo conseguimento [Cass. pen., sez. II, 14/04/2016, n. 15680] né che il profitto sia ingiusto, come richiesto invece dal delitto di truffa [Cass. pen., sez. VI, 30/07/2013, n. 33131]. Il dolo specifico è escluso quando la parte si limita a ricevere la prestazione cui ha diritto nell’ambito di un ordinario rapporto rilevante sul piano civilistico e la finalità della sua azione è esattamente ricevere quanto gli spetta, a condizione che non abbia piena consapevolezza della provenienza delittuosa del bene, caso nel quale, invece, vi è di fatto una doppia condotta: da un lato la consapevole e volontaria ricezione del provento di un reato e, dall’altra, la accettazione della prestazione dovuta con tale mezzo di pagamento “anomalo” [Cass. pen., sez. VI, 30/07/2013, n. 33131].

Il fine di procurare a sé o ad altri un profitto distingue la ricettazione da altre incriminazioni. Nell’ipotesi di occultamento dei proventi illeciti, la distinzione tra favoreggiamento reale (art. 379) e ricettazione risiede nel dopo specifico richiesto per il secondo e non per il primo reato [Cass. pen., sez. VI, 18/03/1994, n. 3407]. Sulla configurabilità a titolo di dolo eventuale era sorto un contrasto giurisprudenziale superato dalle Sezioni Unite che ne hanno affermato la compatibilità con la fattispecie, chiarendo i rapporti con la contravvenzione di incauto acquisto (art. 712).