La fattispecie penale del sequestro di persona
L’art. 605 c.p. rappresenta uno dei rarissimi casi all’interno del nostro codice penale in cui è la stessa norma incriminatrice ad individuare ed indicare espressamente il bene giuridico oggetto della tutela penale. Il sequestro di persona viene così descritto come il fatto di chi priva un soggetto della propria libertà personale: il delitto consiste, dunque, semplicemente, nella lesione di tale bene giuridico, senza che le modalità esecutive di tale lesione abbiano alcun rilievo. Ancora, in altre parole ancora, la fattispecie penale in esame descrive un reato cosiddetto causale puro: ciò che è unicamente rilevante ai fini dell’integrazione del delitto è, dunque, nella vittima stessa, la realizzazione di una situazione di privazione della libertà personale, comunque cagionata.
La nozione di libertà personale
Il problema legislativamente non risolto, peraltro, è che cosa debba intendersi per libertà personale.
Secondo la tesi prevalente, la libertà personale si identifica con la libertà di movimento, che consiste nella libertà di decidere se e come muoversi ovvero rimanere fermi nello spazio, e di conseguenza di agire conformemente a tale decisione; ovvero, secondo una formulazione ancora più precisa, la possibilità di formare in maniera del tutto libera (al riparo da interferenze illecite di terzi), e di liberamente attuare, una serie indefinita di volizioni cinetiche. Dal momento che una simile interpretazione poteva, talvolta, risultare eccessivamente restrittiva in termini di soggetti passivi del reato, si è poi successivamente proposta una diversa nozione di libertà personale, modellata su quella desumibile dall’art. 13 Cost., per cui essa si risolverebbe non nella mera libertà “di” muoversi nello spazio, bensì in una libertà “da” misure coercitive sul corpo; onde essa sarebbe definibile come il diritto di ciascuno a non subire interventi coattivi sul corpo che, di per sé ed obiettivamente, sottraggono l’essere fisico alle relazioni spaziali intercludendolo ovvero – secondo una diversa e più sintetica formulazione – come il diritto a non essere ridotto in stato di soggezione ad un potere alieno. Nello stesso senso, in giurisprudenza, Cass., pen., Sez. VI, 6 marzo 2014, n. 24358, secondo tale pronuncia il bene giuridico tutelato dall’art. 605 c.p. non è costituito soltanto della libertà fisica di movimento e di locomozione ma, della libertà da ogni coercizione dell’essere fisico. Ne deriva che il delitto sarebbe realizzabile anche in danno del demente o del paralitico, i quali, in quanto persone umane, devono vedere sempre e comunque garantita la libertà da eventuali misure coercitive sul proprio corpo, indipendentemente dalla consapevolezza o meno che possano avere di tali misure. Infatti, l’elemento materiale del sequestro di persona, consiste in uno stato di fatto – la privazione della libertà personale – che prescinde dalla consapevolezza che ne abbia il soggetto passivo. Una ricostruzione di questo tipo risulta essere funzionale all’estensione della tutela penale ai sensi dell’art. 605 c.p. anche a soggetti, come gli infanti e i paralitici totali, privi di qualsiasi capacità naturale di movimento nello spazio o comunque privi di tale capacità volitiva, nel senso di pieno dominio del bene giuridico tutelato dalla norma, in quanto devoluto a soggetti esercenti su di loro potestà. Laddove invece ci si voglia ulteriormente estendere il campo applicativo del reato di cui all’art. 605 c.p. è possibile ricomprendere le relazioni spaziali “naturali”, come quelle familiari nelle quali un infante è inserito dal momento della nascita, nel novero dei diritti di “libertà” che trova tutela all’interno della norma stessa, così come concretamente trova tutela negli artt. 30 Cost. E 6 CEDU. L’oggetto passivo del reato può, dunque, essere chiunque abbia una sia pur minima capacità di movimento nello spazio.
Il consenso dell’avente diritto
Concettualmente complessa – e parimenti unita a doppio filo con la discussione sull’esatta determinazione del bene giuridico tutelato – si presenta la questione dell’efficacia scriminante del consenso dell’avente diritto. Uno degli orientamenti sviluppatesi nel corso del tempo, riconosce efficacia scriminante al consenso, a condizioni così sintetizzabili:
a) che l’atto di disposizione sia immune da vizi;
b) che il consenso venga prestato in funzione del soddisfacimento di una finalità che sia meritevole di tutela;
c) che le diverse modalità, con cui la segregazione – oggetto di previo consenso – sia in concreto attuata, non siano di per sé mortificanti e contrarie alla dignità umana, che è bene inalienabile;
d) che, infine, la durata della segregazione consentita non risulti incongruamente dilatata rispetto alla finalità in vista della quale il consenso è stato prestato. (Si veda sul consenso Caso Muccioli e “mamma Ebe”).
Tuttavia la soluzione cui è pervenuta la giurisprudenza – riconoscimento, nei limiti precisati, dell’efficacia scriminante del consenso, e insieme, della possibilità di revocare in qualsiasi momento tale consenso – non ha sempre trovato pieno accoglimento. In linea generale, si è costanti nell’affermare che la libertà personale è solo parzialmente disponibile e che, dunque, il consenso dell’avente diritto può autorizzare esclusivamente limitazioni circoscritte e secondarie del bene tutelato.
In linea con i principi generali sulla rilevanza del consenso, si afferma che esso deve essere attuale e sempre revocabile, con la conseguenza che ogni limitazione della libertà personale, a consenso revocato, dà luogo a sequestro. Questo significa che il soggetto comunque si debba trovare in condizione di poter esprimere il proprio consenso in maniera chiara e immune da vizi. Di conseguenza, la privazione già di per se’ solo del mezzo – per le persone incapaci e minori – attraverso cui questo consenso possa essere espresso, comporta alla configurabilità del reato de quo dal momento che, una qualsivoglia revoca alla condizione venutasi a creare, risulterebbe del tutto impossibile da configurarsi.
Di converso, sulla assoluta non rilevanza del consenso della persona offesa, si può sostenere che chi viene privato della libertà personale per definizione non può consentire a tale privazione: affermazione resa possibile da una valutazione circa la realizzazione del reato fatta nei termini di concreta ed effettiva compimento della condotta di privazione della libertà personale.
Il sequestro di persona e la sottrazione di minore o incapace: fattispecie a confronto
A seguito di questa breve disamina, pare doveroso sottolineare la distinzione – tra i delitti di sequestro di persona e sottrazione di minore o incapace e di sottrazione e trattenimento di minore all’estero – possibile ove si tengano nettamente distinti i beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici, ovvero ove si valuti letteralmente la volontà del legislatore nella costruzione della norma, riservando l’ipotesi delittuosa del sequestro di persona a quelle sole ipotesi in cui al soggetto passivo venga fisicamente impedito di muoversi nello spazio secondo le proprie deliberazioni, ovvero ne sia concretamente turbato il relativo processo motivazionale. Un concorso tra sequestro di persona e le ipotesi di sottrazioni di minore e incapace resterà a questo punto possibile, purché però si dimostri – oltre alla sottrazione del soggetto passivo alla sfera di custodia del soggetto legittimato – anche la lesione concreta ed effettiva della sua libertà di movimento ovvero della sua capacità di restare fermo nello spazio secondo le proprie autonome determinazioni; di converso, il concorso sarà da escludere, dovendosi ravvisare soltanto la corrispondente ipotesi di sottrazione, allorché il soggetto passivo sia del tutto incapace di assumere libere determinazioni cinetiche (come nel caso del bambino di pochi mesi), ovvero in maniera del tutto libera acconsenta alla condotta dell’agente. Alle stesse condizioni, bisogna chiedersi se il sequestro in danno di minore condotto o trattenuto all’estero (ossia l’ultima ipotesi contemplata dal nuovo terzo comma dell’art. 605) sia idoneo ad un eventuale concorso con il nuovo delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero di cui all’art. 574-bis c.p. Letteralmente la clausola di riserva che apre la fattispecie, esclude la configurabilità del concorso di reati con il delitto di cui all’art. 605 c.p., il quale nella forma aggravata di cui al comma 3 (“se il minore sequestrato è condotto o trattenuto all’estero”), troverà esclusiva applicazione, con la conseguenza di un aggravio notevole del trattamento sanzionatorio. Pertanto, qualora vi sia la sottrazione di un minore incapace di esprimere, non solo in maniera autonoma, ma anche concretamente percepibile (o revocare a seconda della tesi a cui si aderisce) un valido consenso troverà applicazione la sola fattispecie di sequestro; per converso, si dovrà ravviare esclusivamente la lesione della potestà parentale ex artt. 574 e 574-bis c.p. (sulla base di una mera valutazione dei beni oggetto di tutela da parte delle norme incriminatrici) nel caso in cui il minore abbia raggiunto gli anni 14 e abbia, quindi, raggiunto un grado di maturazione psichica ed intellettivo in grado di consentirgli di esprimere un suo consenso o comunque una sua volontà all’allontanamento dal suo nucleo famigliare.