La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1425 depositata il 12 gennaio 2024, muovendo da quanto accaduto presso un circuito di motocross, fa il punto sulle eventuali responsabilità dei gestori degli impianti sportivi c.d. rischiosi, quali ad esempio piscine, piste da sci e circuiti automobilistici e motociclistici.
La IV Sezione penale, accogliendo il ricorso del gestore della pista da motocross, inizialmente condannato per il decesso di un centauro, ha ribadito la regola generale della inesegibilità delle condotte non prevedute dalla legge o, comunque, dalle relative federazioni sportive di riferimento.
Il caso specifico
Nel caso de quo, la vittima, dopo aver percorso il rettilineo principale del circuito, che si concludeva con una curva in salita a sinistra, anziché impostare la stessa, proseguiva dritto e, di conseguenza, la moto, anziché curvare, saltava sulla spalletta di terrapieno che delimitava la curva (la cui funzione, peraltro, era proprio quella di accompagnare i piloti nell’esecuzione della stessa); purtroppo, tale terrapieno aveva fatto, per così dire, da trampolino causando un volo c.d. balistico a seguito del quale il mezzo si schiantava, dopo aver scavalcato anche la c.d. “zona neutra”, contro il muro di delimitazione della limitrofa ferrovia, determinando il decesso del motociclista.
La Corte di Appello, sebbene avesse riconosciuto la corretta omologazione della pista e la conseguente assenza di responsabilità in capo al tecnico omologatore che pure era imputato, tuttavia aveva condannato il gestore del circuito sostenendo che costui avrebbe dovuto “effettuare uno studio sulla sicurezza dell’impianto” e una “valutazione dei relativi rischi, essendo notoriamente il motocross uno sport di elevata pericolosità, e ciò anche se detto obbligo non era previsto dalla normativa di settore”. Addirittura, sempre secondo la Corte territoriale, il gestore avrebbe dovuto “individuare tutte le probabili traiettorie di uscita dalla curva da parte dei veicoli, approntando gli idonei accorgimenti di sicurezza”.
Le diverse conclusioni a cui è pervenuta la Corte di Cassazione
L’impostazione della Corte di Appello per giungere alla condanna del gestore del circuito ove è avvenuto il tragico incidente, non è stata condivisa dagli Ermellini.
Infatti, essi, hanno, da un lato, richiamato la costante giurisprudenza secondo la quale il soggetto che detiene la disponibilità di impianti e attrezzature sportive è titolare di una posizione di garanzia, ex art. 40 comma 2 c.p., ed è tenuto, pertanto, a garantire l’incolumità fisica degli utenti, adottando le idonee cautele volte ad impedire il superamento dei limiti di rischio correlati ad una normale pratica sportiva.
Dall’altro lato, la Suprema Corte ha specificato come il predetto dovere di garanzia non possa essere generico ed illimitato e “fonte di responsabilità per qualsiasi evento dannoso occorso agli utenti dell’impianto, ma deve, comunque, essere ricollegabile ad una concreta rimproverabilità della condotta a titolo di colpa”. Dunque, si tratta di ipotesi di violazione di una regola cautelare specifica finalizzata a scongiurare il rischio dell’evento poi in concreto verificatosi, ovvero, di ipotesi di omissione di una condotta che sia effettivamente esigibile da parte del soggetto agente.
Per esempio, con riferimento alla gestione di un impianto sportivo di nuoto, il gestore di una piscina, in quanto titolare di una posizione di garanzia, al fine di garantire l’incolumità fisica degli avventori, dovrà organizzare la propria attività in modo idoneo, vigilando sia sul rispetto delle regole interne sia di quelle predisposte dalla Federazione Italiana Nuoto, le quali valgono al pari delle norme di comune prudenza (Cass. Pen. Sez. IV, n. 4462 del 14.12.2005).
Con riguardo, invece, al gestore della pista da sci, costui potrebbe dover rispondere di omicidio o lesioni colpose (essendo anch’egli titolare di una posizione di garanzia), sempre però che sia possibile muovergli una contestazione a titolo di colpa derivante dalla violazione di uno o più precetti rinvenibili nelle norme in materia di sicurezza della pratica degli sport invernali.
In questo senso, la Corte di Cassazione ha richiamato quanto già stabilito dalla sentenza n. 14606 del 15 febbraio 2017 ove si afferma che nello sci l’obbligo di recintare la pista e apporre idonee segnaletiche vige “solo in presenza di un pericolo determinato dalla conformazione dei luoghi che determini l’elevata probabilità di un’uscita di pista dello sciatore, apparendo inesigibile pretendere che tutta la pista sia recintata o che tutti i pericoli siano rimossi”.
Infine, per quanto concerne i circuiti automobilistici e motociclistici, la Suprema Corte ricorda la pronuncia Ghedini del 4 maggio 2010 (Sent. n. 812) relativa ad un incidente mortale di un pilota accaduto durante lo svolgimento delle prove su un circuito automobilistico: in quell’occasione, si era ritenuto responsabile il gestore della pista per la mancata fresatura delle vie di fuga previste sul tracciato in caso di uscita dalla curva, così da agevolare la frenata. Dunque, sussiste una posizione di garanzia anche in capo ai gestori di circuiti, connaturata ai principi generali relativi all’esercizio di attività pericolose: si può andare esenti da responsabilità ove si dimostri di essersi attenuti e adeguati ai parametri di diligenza e perizia, necessari nell’esercizio di autodromi, stabiliti dalle norme associative delle Federazioni Italiane Automobilistiche e Motociclistiche, nonché dalle rispettive Commissioni Sportive di categoria.
Alla luce di quanto sinora esposto, è evidente come la giurisprudenza sia da tempo orientata nell’individuare il contenuto dell’obbligo giuridico del gestore di un impianto sportivo nella vigilanza sul rispetto delle specifiche regole previste da normative speciali, dai regolamenti emanati dalle singole Federazioni sportive, nonché delle regole di utilizzo interno dell’impianto stesso.
In conclusione, quindi, se è doveroso pretendere che il gestore di un impianto vigili sulla regolare organizzazione dell’attività sportiva ottemperando alla disciplina prevista dalle Federazioni Sportive, non è, invece, sostenibile che costui debba intervenire con un comportamento attivo ulteriore che superi le previsioni regolamentari, poiché così facendo il gestore si troverebbe investito di un obbligo di fatto inesigibile per ampiezza e genericità.