La sanzione accessoria della revoca della patente di guida è da ritenersi misura sanzionatoria non sproporzionata rispetto alla gravità di un incidente stradale commesso in stato di ebbrezza (oltre 1,5 g/l): è quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 194, depositata in data 27 ottobre 2023, con la quale è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 186, comma 2bis, del Codice della Strada.
L’art. 186 del Codice della Strada, più volte rimaneggiato nel corso degli anni e rubricato “Guida sotto l’influenza dell’alcol”, nel prevedere il reato di guida in stato di ebbrezza, al comma 2bis, contempla, tra le altre cose, anche la sanzione accessoria della revoca della patente ogni qualvolta si versi nell’ipotesi più grave tra quelle previste dalla legge, ovverosia aver provocato un incidente stradale in uno stato di alterazione psico-fisica dovuta ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l.
La Corte Costituzionale ha sottolineato come, nell’impianto sanzionatorio del reato in questione, al comma 1, vi sia una progressione crescente, graduata sulla base del livello di tasso alcolemico, con la previsione della sospensione della patente di guida per un periodo di tempo via via più lungo.
Al culmine di questa progressione, troviamo tipizzata la condotta più grave, la quale comporta la revoca della patente: si tratta del caso in cui un soggetto si metta al volante con un tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, dunque, in una condizione tale da compromettere il controllo del veicolo che sta guidando e, anzi, andando a provocare un incidente stradale. E’ lapalissiano come ciò costituisca un comportamento altamente pericoloso per la vita e l’incolumità di se stessi oltre che di qualsiasi altra persona, anche nell’ipotesi in cui l’incidente stradale non sia causa di lesioni alle persone coinvolte o addirittura di decesso delle stesse.
In proposito, è bene ricordare che la Corte di Cassazione accoglie la nozione di “incidente stradale” elaborata dal diritto vivente, ovvero che “il sinistro stradale risulta integrato da qualsiasi avvenimento inatteso che, interrompendo il normale svolgimento della circolazione, possa provocare pericolo alla collettività, senza che assuma rilevanza l’avvenuto coinvolgimento di terzi o di altri veicoli”. Di conseguenza, ai fini della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 186, comma 2bis, Codice della Strada, relativa appunto agli incidenti stradali, vengono presi in considerazione sia l’urto del veicolo contro un ostacolo, sia la semplice fuoriuscita dalla sede stradale: contrariamente a quanto molti pensano, non sono richiesti né danni alle persone, né danni alle cose, con la conseguenza che è sufficiente qualsiasi situazione che esorbiti dalla normale marcia del veicolo, potenzialmente idonea a determinare danni, per vedersi contestata l’aggravante dell’incidente stradale (Cass. Sez. III, ordinanza n. 31003/2018; Cass.Sez. IV, n. 42488/2012).
In conclusione, la modestia delle conseguenze dell’incidente non incide sulla gravità della condotta di chi si metta alla guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l: a prescindere, trattasi di comportamento a cui è strettamente connesso un elevato pericolo per la vita e l’incolumità delle persone, tenuto senza il dovuto rispetto di tali beni fondamentali.
Proprio perchè ci troviamo di fronte a beni giuridici primari ed a contesti di temporanea inaffidabilità alla guida, si ritiene giustificabile la previsione di una sanzione amministrativa così severa.
Ecco allora che la scelta di non distinguere, ai fini della operatività della revoca della patente di guida, in funzione della gravità dell’incidente causato, corrisponde ad un criterio di prevenzione generale che – secondo la Corte Costituzionale – possiamo ritenere non irragionevole nei confronti dell’individuo il quale, con un tasso alcolemico superiore al livello di soglia fissato a 1,5 g/l, guidi in condizioni fisiche e psichiche in tutto o in parte alterate e compromesse.
Tornando a quanto espresso dalla Consulta nella recentissima pronuncia, è, quindi, da ritenere sempre giustificata la revoca della patente per la maggiore pericolosità di tale condotta rispetto alle ipotesi non parimenti aggravate.
A parere della Corte, la revoca della patente di guida non è da intendersi come un automatismo sanzionatorio, bensì una misura coerente con la finalità preventiva della sanzione considerato che evita la possibilità che si ricrei una analoga situazione di pericolo per un congruo periodo di tempo. Infatti, la revoca della patente di guida dovrebbe fungere – o almeno questo è l’intento del legislatore – da deterrente verso talune condotte, sollecitando una maggiore consapevolezza della gravità di certi comportamenti. Non solo, avrebbe anche una funzione rieducativa poiché impone al condannato di sostenere nuovamente l’esame di guida, attivando così un processo virtuoso di correzione tramite una utile formazione finalizzata alla prevenzione.
Infatti, è opportuno sottolineare che, la revoca della patente di guida non ha carattere permanente, in quanto colui che si è visto applicare tale sanzione potrà conseguire un nuovo titolo abilitativo nei termini previsti dall’art. 219, comma 3ter del Codice della Strada, il quale stabilisce che “quando la revoca della patente di guida è disposta a seguito delle violazioni di cui agli articoli 186, 186-bis e 187, non è possibile conseguire una nuova patente di guida prima di tre anni a decorrere dalla data di accertamento del reato…”.
Del resto, a bene vedere, con riferimento al reato di guida in stato di ebbrezza, il giudice ha già un margine di apprezzamento sufficiente affinchè la sanzione comminata sia proporzionata alla complessiva dinamica del fatto, prendendo in considerazioni tutti gli elementi oggettivi e soggettivi propri del caso concreto. Infatti, l’aumento della pena inflitta può oscillare tra un minimo ed un massimo (raddoppiati nell’ipotesi aggravata), ma, comunque, da determinarsi in funzione della gravità del danno derivante dal sinistro o del grado di colpa del reo.