La natura giuridica dell’eccesso colposo è controversa. Tale figura giuridica è disciplinata all’articolo 55 del codice penale. La disposizione di cui all’art. 55 c.p. veniva considerata applicabile anche nel caso in cui l’agente avesse volontariamente travalicato i limiti segnati dalla legge, dall’ordine o dalla necessità. Il fatto compiuto in eccesso colposo è, dunque, un fatto non solo punito “a titolo di colpa”, ma anche strutturalmente colposo. Nell’art. 55 c.p. il rimprovero di colpa si radica nell’aver l’agente cagionato un evento più grave di quello che avrebbe potuto lecitamente cagionare, per effetto di un errore evitabile nella valutazione dei presupposti di fatto della situazione scriminante. Ovvero per effetto di un errore evitabile nell’uso dei mezzi di esecuzione.
La nozione di eccesso
Sul piano oggettivo, l’eccesso si configura come travalicamento dai limiti entro i quali la condotta dell’agente si presenta come lecita in forza di una data norma scriminante. Ciò presuppone l’effettiva sussistenza della situazione assunta dalla norma scriminante a presupposto della liceità, o dolorosità, della condotta: su tale situazione si innesta una condotta che eccede dai limiti di liceità segati dalla norma scriminante stessa.
Sul piano soggettivo, ai fini dell’operatività dell’art. 55 c.p., il travalicamento della condotta dell’agente dai limiti segnati dalla norma incriminatrice deve potersi imputare ad una colpa dell’agente.
In una prima forma di eccesso colposo la colpa può, anzitutto, radicarsi in un errore evitabile di valutazione della situazione scriminante, nel quale è incorso l’agente concreto e nel quale, invece, non sarebbe incorso un ideale agente modello, posto nella medesima situazione. Tale errore interviene, dunque, nella fase formativa della volontà precludendo l’imputazione a titolo di dolo della condotta realizzata in conseguenza dell’erronea valutazione .
Questa forma di eccesso colposo è, in sostanza, un’ipotesi particolare di errore sulla situazione scriminante, disciplinato in via generale dall’articolo 59, ultimo comma c.p.: l’agente percepisce, qui, una situazione scriminante realmente sussistente, ma ne valuta in maniera inesatta l’effettiva portata, determinandosi conseguentemente a una condotta che provoca un risultato lesivo più grave di quello imposto dalla legge, dall’ordine dell’autorità o dalla necessità. L’errore irrilevante ex art. 55 c.p. deve cadere sulla situazione, e non sulla norma scriminante: non si ha pertanto eccesso colposo, ma responsabilità piena a titolo di dolo, quando l’agente abbia voluto l’evento causato, ritenendo erroneamente più ampi i confini della causa di giustificazione.
Una seconda forma di eccesso colposo è quella caratterizzata da un errore evitabile nella fase esecutiva della condotta, che determina a sua volta un risultato lesivo più grave di quello voluto e che sarebbe stato lecito provocare. In questo caso dunque, l’agente valuta esattamente la situazione scriminante, e si determina a una condotta nelle sue intenzioni contenuta entro i confini segnati dalla norma scriminante; a causa però di un difettoso controllo dei mezzi esecutivi, egli finisce per cagionare un risultato eccessivo, che avrebbe potuto evitare usando una maggiore diligenza.
L’art. 55 c.p. non si applica, invece, quando l’agente abbia percepito esattamente la situazione scriminante, e ciononostante si sai volontariamente determinato a una condotta eccessiva. In tale ipotesi, l’eccesso è doloso, e l’agente risponderà del fatto commesso a titolo di dolo.
Nessuna responsabilità, né a titolo di colpa né a titolo di dolo, sussisterà infine laddove l’eccesso – non importa se dovuto ad un errore intervenuto nella fase formativa della volontà ovvero nella fase attuativa della condotta – sia colpevole.
Il legislatore del 2019 è intervenuto (anche) in tema di eccesso colposo.
L’art. 55, I comma c.p. prevede che in caso di eccesso colposo dei limiti delle cause di giustificazione, tra cui ovviamente è citata anche la legittima difesa, “si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.
Il superamento dei limiti della causa di giustificazione che ci interessa è quello della proporzione tra reazione e difesa, che deve avvenire per colpa, ovverosia per imprudenza, imperizia, negligenza e non a seguito di una scelta cosciente e volontaria. Inoltre, presupposto della configurazione dell’eccesso colposo è il ricorrere di tutti i requisiti della causa di giustificazione i cui limiti poi si superano. Detto altrimenti, non vi può essere eccesso colposo della legittima difesa se non vi è alla base la legittima difesa stessa completa in tutti i suoi requisiti.
Il legislatore è quindi intervenuto ed ha aggiunto un ulteriore comma, il quale prevede che, nei casi della legittima difesa domiciliare (ex art. 52, II, III e IV comma c.p.) “la punibilità è esclusa”, ricorrendo verosimilmente una condizione di non punibilità e non di certo una scriminante, “se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’articolo 61, primo comma, n.5) ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”. In altre parole, l’eccesso colposo non viene punito dal legislatore nei casi di legittima difesa domiciliare quando ricorrono le condizioni dell’art. 61, primo comma, n.5), ovverosia “l’aver profittato di circostanze di tempo, luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”, condizioni che, si ricordi, sono dettate però in tema di circostanze aggravanti, oppure “in stato di grave turbamento”.
Nei casi di eccesso colposo ex art. 55 II comma c.p. Il grave turbamento invece acquisisce una importanza fondamentale al fine di stabilire se la condotta dell’agente è punibile o no. Tale turbamento, che non si comprende se possa essere meramente astenico, come la paura, o fattore di una reazione improvvisa, quale la rabbia, non deve essere la causa della reazione, ma lo stato nel quale l’individuo agisce.
Difatti la norma prescrive che si esclude la punibilità di chi ha agito “in” e non “per” o “a causa” di uno stato di grave turbamento. Inoltre si dichiara espressamente che tale stato emotivo non deve preesistere o essere causato da fattori esterni, ma deve essere “derivante dalla situazione di pericolo in atto”. In aggiunta a ciò, ci si chiede per quanto deve sussistere tale grave turbamento, essendo comunque certo che deve esserci al momento dell’eccesso colposo.
In merito all’accertamento della scriminante della legittima difesa e del suo eventuale eccesso colposo, l’orientamento maggioritario in giurisprudenza reputa che tale accertamento “deve essere effettuato con un giudizio ex ante calato all’interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in sé considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all’azione che possano aver avuto concreta incidenza sull’insorgenza dell’erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un’ingiusta aggressione”(Cassazione penale sez. IV – 28/02/2018, n. 24084).