Profili generali.
Sotto l’etichetta di cause di estinzione del reato il Titolo X del Libro I del Codice Rocco raggruppa istituti eterogenei, accumunati da un medesimo effetto sostanziale: inibizione o eliminazione delle conseguenze penali d’un reato commesso.
La loro disciplina ha un peculiare risvolto processuale: intervenuta la causa di estinzione del reato, questa deve essere dichiarata dal giudice, con sentenza di non doversi procedere, a meno che (art. 129 c.p.p.) non risulti già evidente che il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso o non è previsto dalla legge come reato.
La dichiarazione di improcedibilità, non dipendente da un previo accertamento, è processualmente doverosa sia in caso in cui un reato è stato commesso, sia in casi in cui un reato non è stato commesso.
Questa disciplina processuale è volta a ridurre al minimo l’impegno processuale, quando già consti l’applicabilità di cause estintive del reato per cui si procede, e in vista di tale obiettivo paga il prezzo di far dichiarare l’estinzione del reato anche quando la responsabilità sia ancora sub judice.
La formula di estinzione del reato, certamente appropriata nei casi in cui il reato è stato effettivamente commesso e l’imputato ne è responsabile, è invece fuorviante, e rischia di veicolare una carica impropria di stigmatizzazione, quando sia applicata nei casi in cui il reato è stato ipotizzato dall’organo promotore dell’azione penale, ma l’ipotesi di accusa non è stata verificata, e l’imputato può essere innocente.
Bisogna pertanto chiedersi: è accettabile – sul piano della legittimità costituzionale – che istituti di favore, quali sono per definizione le cause estintive del reato, possano ritorcersi a svantaggio dell’innocente, imponendo un esito del processo diverso (e meno favorevole) della assoluzione piena nel merito?
La possibilità di rinunciare alla prescrizione e all’amnistia, non prevista nel Codice Rocco, è stata introdotta da due sentenze additive della Corte Costituzionale: l’imputato ha diritto a un compiuto accertamento nel merito che potrebbe sfociare in una sentenza di assoluzione piena, ed esercita questo diritto rinunciando alla causa estintiva. Si tratta di un diritto di cui viene fatto, per evidenti ragioni di prudenza, un uso assai poco frequente.
Sono collegate ad un libera scelta dell’imputato le altre cause estintive.
La remissione della querela è operativa solo se accetta dall’imputato; l’oblazione e la sospensione del processo con messa alla prova conseguono ad una domanda dell’imputato.
I tratti comuni nella disciplina delle cause estintive del reato sono: l’applicabilità nei confronti della sola persona cui si riferiscono, salvo che la legge disponga diversamente; nel caso di concorso di più cause estintive, l’applicazione di quella comparativamente più favorevole.
La morte del reo.
La morte del reo avvenuta dopo la condanna (art. 171) estingue la pena principale, le pene accessorie e ogni effetto penale di condanna: l’unica sanzione penale di cui può continuare l’esecuzione è la confisca, trattandosi di una misura di sicurezza che colpisce le cose e non la persona del condannato.
La morte del reo, tuttavia, non comporta l’estinzione delle obbligazioni civili da reato (art. 198) che si trasmettono agli eredi: fanno eccezione le obbligazioni inerenti alle spese per il mantenimento in carcere del condannato, nonché l’obbligo di rimborsare le spese del processo penale.
L’amnistia impropria.
L’amnistia è un provvedimento generale ed astratto con cui il lo Stato rinuncia all’applicazione della pena.
L’amnistia viene considera come un atto di clemenza in grado di estingue il reato e, nel caso in cui vi fosse stata condanna, essa ne fa cessare l’esecuzione della stessa e delle relative ed eventuali pene accessorie. L’amnistia può essere propria o impropria. Quella propria è in grado di estinguere il reato a procedimento penale è in corso mentre l’amnistia così detta impropria può intervenire dopo che è stata pronunciata una sentenza penale definitiva di condanna (art. 151 co. I° pt. 2 c.p.).
L’amnistia impropria ex art. 151, co I, interviene dopo la sentenza definitiva di condanna. Questa differenza temporale, con l’istituto della amnistia propria, spiega d’altra parte, la più limitata efficacia di questa forma di amnistia: la sentenza definitiva di condanna comporta l’affermazione della responsabilità per una determinata fattispecie di reato e ne comporta, dunque, l’inflizione delle relative pene. L’intervento dell’amnistia in questa fase processuale può solo impedire l’esecuzione delle pene. L’amnistia impropria è in grado di far cessare l’esecuzione delle pene principali e delle pene accessorie, mentre non è in grado di estinguere gli effetti penali della condanna.
L’amnistia è applicata dal giudice dell’esecuzione e può essere sottoposta, ove lo prevede la singola legge, a condizioni o obblighi. Può trattarsi di condizioni sospensive ovvero di condizioni risolutive, nel qual caso al verificarsi della condizione il giudice dovrà revocare il provvedimento con il quale ha applicato l’amnistia (art. 674, I c.p.p.).
Estinzione del reato per condotte riparatorie.
L’art. 162-ter, I, c.p. prevede che, «Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo.»
L’art. 162-ter c.p. è applicabile ai reati procedibili a querela in cui la querela può essere soggetta a remissione: sono così esclusi non solo i reati procedibili d’ufficio, ma anche quelli procedibili a querela irrevocabile.
Cuore pulsante dell’art. 162-ter c.p. è, evidentemente, costituito dalle condotte riparatorie, che non possono essere realizzate oltre il termine perentorio della «dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado»: il giudice, sentite le parti e la persona offesa, dichiara estinto il reato qualora l’imputato abbia «riparato interamente il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato». Degno di nota appare che il Legislatore, usando l’indicativo («il giudice dichiara estinto il reato»), impone al giudice, in presenza di condotte riparatorie da quest’ultimo reputate congrue, di dichiarare estinto il reato; netta la differenza rispetto al II comma dell’art. 162-ter c.p., che lascia al giudice la possibilità di concedere o meno la sospensione del processo per permettere all’imputato di realizzare le condotte riparatorie.
La persona offesa, dal canto suo, anche se deve essere sentita e può quindi rifiutare l’offerta dell’imputato, non può impedire l’estinzione del reato, qualora l’offerta sia reputata congrua dal giudice. Il II comma dell’art. 162-ter c.p. precisa che, «Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l’articolo 240 c.p., secondo comma.»
In caso di sospensione, il terzo comma prevede che il giudice dichiari l’estinzione del reato «all’esito positivo delle condotte riparatorie». L’esegesi, in questo caso, è piuttosto lineare: si segnalano, in particolare, la possibilità di provvedere al pagamento anche in forma rateale durante la sospensione del processo, il potere, in capo al giudice, di imporre specifiche prescrizioni e la sospensione del corso della prescrizione durante il periodo di sospensione del processo, affinché la richiesta del termine non sia compiuta in maniera strumentale e dilatoria.
La prescrizione del reato.
L’istituto della prescrizione del reato risponde all’esigenza circa quale rilevanza attribuire al tempo trascorso dal commesso reato fino alla sentenza che definisce il processo. La prescrizione quale causa estintiva (del reato o della pena) rispecchia un sostanziale consenso di principio sull’affievolirsi, nel corso del tempo, della ragioni giustificative della risposta penale. L’estinzione del reato (la non punibilità in regione del decorso del tempo trascorso) è una soluzione normativa suggerita dalla considerazione dei tempi della memoria sociale e dei tempi della vita delle persone; da esigenze di proporzione degli interventi penali non semplicemente rispetto alla gravità del commesso reato, ma rispetto a bisogni di risposta che il corso del tempo può ragionevolmente concorrere a modellare e ridurre.
La determinazione dei tempi di prescrizione è rimessa a valutazioni di giustizia o di politica del diritto, relative da un lato alla rilevanza del tempo trascorso, e dall’altro lato alla natura e gravità dei diversi reati.
In quanto alla rinuncia alla normale risposta prevista dalla legge per il reato, la prescrizione penale è un istituto assiologicamente ambiguo. Per presentando un volto che può essere di giustizia è in ogni caso una presa d’atto di una obiettiva défaillance del sistema. L’estinzione del reato in ragione del tempo trascorso sottende una valutazione, per così dire di irragionevole durata del tempo intercorso tra il commesso reato ed il momento della decisione; il suo effetto è la rinuncia di applicare la conseguenza del reato che in un tempo ragionevole sarebbe stata legalmente dovuta.
Come suggerisce la stessa etichetta di causa estintiva, la prescrizione è un estintore, come quelli previsti in un sistema anticendio: è giusto e necessario collocare estintori a presidio di determinati situazioni, ma in condizioni di normale funzionamento del sistema dovrebbero rimanere inattivi.
Oblazione.
L’istituto della oblazione riconnette l’estinzione del reato al pagamento, prima dell’apertura del dibattimento, di una domma di denaro determinata in relazione alla pena pecuniaria prevista per il reato contestato.
Con il pagamento dell’oblazione l’imputato ottiene una sentenza dichiarativa di non doversi procedere per estinzione del reato a seguito dell’avvenuta oblazione, evitando un formale accertamento processuale del fatto contestato.
L’alternativa al punire è qui giocata soprattutto sul piano simbolico: l’oblazione ha l’effetto di evitare una formale affermazione di responsabilità, pur equivalendo, sul piano economico, ad una pena pecuniaria. L’istituto mantiene dunque un carattere in qualche misura afflittivo.
Nel sistema vigente coesistono due forme di oblazione:
Oblazione automatica, applicabile alle contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda. (art. 162) Automatica nel senso che, a richiesta dell’imputato e in presenza delle condizioni stabilite dalla legge, il giudice è tenuto ad ammettere l’oblazione. Per le contravvenzioni punite con la sola ammenda, l’imputato, versando prima della apertura del dibattimento una somma pari al terzo della pena massima prevista, ha diritto di ottenere la dichiarazione di non doversi procedere per estinzione del reato.
Questo istituto ha una funzione di pura deflazione processuale: offre all’imputato un incentivo a scegliere una rapida definizione del procedimento. Chiedendo di essere ammesso all’oblazione, l’imputato evita la condanna accettando un costo puramente pecuniario, magari maggiore del prevedibile importo della sanzione, ma non accompagnato dai profili stigmatizzati e degli oggetti della sentenza di condanna.
Oblazione discrezionale, introdotta dalla L. 689 del 1981, è applicabile alle contravvenzioni punite con pena alternativa ( arresto o ammenda ), cioè ad una fascia di reati più gravi di quelli cui si applica l’oblazione ex art. 162.
La disciplina tiene conto della maggiore gravità della fascia di reati considerati.
La domanda d’oblazione – che deve essere presentata prima dell’apertura del dibattimento con deposito della somma da pagare – può essere respinta dal giudice e non è accoglibile quando permangono conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore.
L’importo dell’oblazione è pari alla metà del massimo della pena edittale. Il meccanismo di applicazione dell’oblazione speciale risponde ad una positiva funzione di tutela dell’interesse pregiudicato dall’avvenuta violazione: la prospettiva dell’estinzione del reato, condizionata alla non permanenza delle eventuali conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore, offre un incentivo ad eliminare tali conseguenze, facendo sorgere un interesse dello stesso contravventore al ripristino di una situazione conforme alla legge.
“In caso di modifica dell’originaria imputazione in altra per la quale sia ammissibile l’oblazione, l’imputato è rimesso in termini per chiedere la medesima” . Così recita il nuovo comma inserito nel 1999 nell’art. 141 disp. att. c.p.p. il quale ha recepito un principio affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 530 del 1995.
Il diritto a chiedere l’oblazione resta precluso quando il giudice abbia diversamente qualificato in sentenza il medesimo fatto: è onere dell’imputato esercitare il proprio diritto ad ottenere una qualificazione giuridica corretta, e in relazione ad essa proporre domanda di oblazione.
La remissione della querela.
La remissione della querela, ex art. 152 c.p. e ss, fa venire meno la procedibilità per i reato perseguibili a querela. Piò intervenire in qualsiasi momento, prima della sentenza definitiva. Non richiedere forme particolari; può essere espressa, o anche tacita, desumibile cioè da fatti incompatibili con la volontà di persistere nella querela. Non può essere sottoposta a termini o a condizioni. Non ha effetto se il querelato non la ha accettata: il querelato potrebbe teoricamente puntare ad una decisione di assoluzione nel merito, che è invece preclusa dal perfezionarsi della causa di non procedibilità.
Per i maggiori di anni 14 e per gli interdetti per infermità di mente la remissione della querela può essere fatta dal legale rappresentante.
Sospensione condizionale della pena.
La sospensione condizionale della pena è un istituto introdotto dal Legislatore all’inizio del XX secolo. In esito al processo di cognizione, il giudice dispone la sospensione condizionale della pena quando, in presenza degli altri presupposti di legge e alla luce dei criteri di cui all’art. 133, “presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati” (art. 164). L’obiettivo avuto di mira è la non esecuzione della pena. “Se nei termini stabiliti, il condannato non commetto un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempie agli obblighi impostigli” (art. 167). In tal caso il reato è estinto e non ha luogo l’esecuzione delle pene. Permangono invece gli altri effetti penali. In caso di esisto della prova, darà corso all’esecuzione della pena.
Il periodo di prova decorre della data della sentenza definitiva. Esso dura 5 anni se la condanna è per delitto, 2 anni se per contravvenzione.
La sospensione condizionale della pena viene disposta “scommettendo” sul raggiungimento delle finalità di giustizia tramite la non esecuzione della pena giusta in via di principio secondo le regole generali dell’ordinamento. La giustizia dell’esito finale dipenderà in ultima analisi non esclusivamente dal reato commesso, ma da eventi successivi alla stessa sentenza di condanna, e in particolare dal comportamento del condannato durante il periodo di prova.
La sospensione condizionale della pena esprime nella pena inflitta il peso assegnato sulla bilancia della giustizia, dall’altro lato va incontro ad esigenze che possano fare ritenere preferibile la non esecuzione della pena, avuto riguardo ai suoi costi e alle possibili alternative.
Ambito e limiti di applicabilità della sospensione condizionale riflettono un bilanciamento legislativo fra esigenze di prevenzione speciale e di prevenzione generale. La previsione di limiti obiettivi alla possibilità di sospendere la pena assicura un ambito di priorità incondizionata alla prevenzione generale.
Sospensione del procedimento con messa alla prova.
La legge 67/2014 ha introdotto nel codice penale una nuova causa di estinzione del reato: la “messa alla prova” nel corso del procedimento e prima della eventuale sentenza di condanna, con conseguente estinzione del reato in caso di esito positivo della prova. La messa alla prova ha la funzione di raggiungere la finalità rieducativa della pena ed il reinserimento sociale, pur mantenendo una funzione comunque punitiva. L’applicazione della messa alla prova presuppone la esistenza di un procedimento a carico di noti e che questo non sia definito con condanna, anche se soggetta ad impugnazione. Tale procedimento può essere sospeso per lo svolgimento della messa alla prova e, poi, definito per la sopravvenuta estinzione del reato se l’esito della “prova” è stato positivo.
L’innovazione più importante prevista dalla Riforma Cartabia riguardala possibilità anche per il Pubblico Ministero di attivare la sospensione del procedimento con messa alla prova e ciò al fine di accentuare al massimo il ricorso ai riti alternativi, specie qualora la difesa rimanga inerte. E’ bene precisare che al Pubblico Ministero spetta un potere di proposta cui deve conseguire l’accettazione da parte dell’imputato, al quale resta l’onere di formulare la richiesta di rito alternativo. In ogni caso laddove il Pubblico Ministero formuli la proposta di sospensione del procedimento con messa alla prova nel corso dell’udienza preliminare o nella fase predibattimentale (nei procedimenti a citazione diretta) l’imputato può chiedere un breve rinvio per un termine non superiore a venti giorni.
Perdono giudiziale.
Il perdono giudiziale è una causa di estinzione del reato (previsto dall’art. 169 c.p., come modificato dall’art. 19 r.d.l. 20 luglio 1934 n. 1404). Tale istituto ha un campo applicativo molto ristretto: si indirizza infatti ai soli minori, e precisamente ai soli soggetti che al momento della commissione del fatto abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età ma non siano ancora maggiorenni.
Il beneficio in esame può essere concesso anche più di una volta purché la somma delle pene inflitte non superi i due anni di reclusione e/o i 1.549,37 euro, ed è disposto discrezionalmente dal giudice.
Può consistere nell’astensione dal rinvio a giudizio quando il Tribunale dei Minorenni ritiene che si possa applicare una pena restrittiva della libertà personale non superiore a 2 anni o, in caso contrario (in cui il giudizio si sia già instaurato), nell’astensione dalla pronuncia di condanna. L’estinzione del reato consegue immediatamente al passaggio in giudicato della sentenza che nell’uno e nell’altro caso applica il perdono giudiziale. Alla base dell’istituto stanno evidenti considerazioni di prevenzione speciale: nei confronti di un minore, che per la prima volta e in modo del tutto occasionale si renda autore di un illecito non grave, si rinuncia a punire in ragione degli effetti criminogeni che potrebbero derivargli dalla pena e dallo stesso processo.